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Banche: le sofferenze crescono, ma restano sotto controllo
Probabilmente l'economia europea riuscirà ad evitare la recessione, anche se il rallentamento della congiuntura è evidente e questo porterà a un incremento delle sofferenze in carico alle banche. Nonostante tutto, la situazione non è considerata da allarme rosso.
Era la preoccupazione più diffusa tra la fine del 2022 e l’inizio del nuovo anno, quando la prospettiva di una recessione appariva molto concreta. Alla prova dei fatti, finora non sono arrivati segnali di particolare preoccupazione dal punto di vista delle sofferenze bancarie, per quanto la prudenza sia sempre d’obbligo a fronte di un contesto macro ricco di incognite. Comunque una buona notizia per le famiglie e le imprese italiane, che non dovrebbe subire nei trimestri a venire particolari restrizioni nei finanziamenti.
Lo stato di salute delle banche
L’ultimo monitoraggio periodico condotto dalla Bce, noto come Srep, ha promosso a pieni voti le banche italiane. In particolare, la vigilanza comunitaria ha rilevato che gli istituti dell’area (l’approfondimento ha riguardato quelli di medie e grandi dimensioni) hanno resistito senza particolari problemi allo scossone della guerra in Ucraina, dimostrandosi solide e ben posizionate. In questo scenario le banche italiane sono risultate in linea, e in alcuni casi sopra la media di quelle continentali.
Tanto che la stessa Bce ha sottolineato come la decisione di tornare a distribuire dividendi generosi (in media il 52% degli utili prodotti lo scorso anno) non crei problemi di liquidità agli istituti sotto il suo monitoraggio.
La situazione delle sofferenze
Secondo l’ultima rilevazione dell’Abi, relativa a gennaio, le sofferenze nette, vale a dire al netto delle svalutazioni e accantonamenti già effettuati dagli istituti con risorse proprie, si sono attestate a quota 15,3 miliardi di euro, in calo di circa 2,9 miliardi (pari a -15,9%) rispetto a un anno prima. Una discesa importante, che dimostra l’impegno degli istituti italiani per tenere sotto controllo la qualità del credito, soprattutto ora che il ciclo economico va perdendo vigore. Sarà inevitabile che nei prossimi mesi potranno esservi delle difficoltà nella restituzione dei prestiti ricevuti, ma il rapporto tra sofferenze nette e impieghi totali è limitato allo 0,88% e questo offre un robusto cuscinetto per fronteggiare un eventuale peggioramento della congiuntura.
Le ricadute sulla dinamica dei finanziamenti
Questo significa che difficilmente le banche stringeranno sul fronte dei finanziamenti alle imprese e alle famiglie per salvaguardare la qualità del credito. Piuttosto una prospettiva di questo tipo potrebbe concretizzarsi in caso di ulteriori rialzi ai tassi decisi dalla Bce, anche se su questo fronte oggi sembra dominare la prudenza. Complice il fatto che a marzo l’inflazione ha registrato una brusca frenata, attestandosi al 6,9% nell’Eurozona (calo superiore alle attese degli economisti, collocate al 7,1%) dall’8,5% di febbraio. È vero che la Bce continua a indicare come obiettivo di medio termine un valore del carovita intorno al 2%, ma è pur vero che occorrerà del tempo per saggiare la portata dei rialzi già effettuati nei mesi scorsi.
Che la situazione sia tutt’altro che allarmante è confermato dagli ultimi dati sui prestiti. Secondo un’analisi di Crif, tra il 2021 e il 2022 è cresciuta del 6,5% la quota di italiani maggiorenni con un mutuo o un prestito acceso, a raggiungere quota 47,4%. Anche se Cerved si attende per l’anno in corso crediti deteriorati in crescita rispetto al pre-Covid, pur se ben lontani dai picchi della crisi sovrana del 2012.
Venendo a rilevazioni più recenti, l’ultimo bollettino dell’Abi segnala che a febbraio i prestiti a imprese e famiglie sono aumentati del +0,8% rispetto a un anno fa. Non si tratta di un dato clamoroso, ma la conferma di una tendenza in crescita era tutt’altro che scontata alla luce del rallentamento congiunturale in atto e delle tante incognite a livello macro.
L’entusiasmo cala se tuttavia si paragona l’andamento di febbraio con quello dei mesi precedenti. Infatti, a gennaio il progresso rispetto a dodici mesi prima era stato dell’1,5% e a dicembre 2022 rispetto a dicembre 2021 dell’1,6%. Andando ancora a ritroso, a novembre il progresso era stato nell’ordine del 3,2% e a ottobre del 3,5%.
Questa dinamica lascia immaginare che marzo e aprile risulteranno decisivi per la capacità di mantenere o meno il segno più, ma intanto non vi sono segnali d’allarme sul fronte del credit crunch, la preoccupazione più grande per famiglie e imprese italiane.
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