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Università: aumentano le rette, atenei del Nord i più cari
Le rette universitarie, nonostante gli effetti positivi avuti con la no tax area, dal 2018 sono aumentate del 6,82 per cento. Lo rileva un’indagine di Fedeconsumatori, che ha riscontrato forti criticità nei servizi tra gli atenei del Nord e quelli del Sud. L’Università di Pavia è la più cara.
Le rette universitarie puntano al rialzo e, nonostante l’effetto calmieratore della ‘no tax area’ collegata all’emergenza sanitaria, restano aperte diverse criticità nel sistema degli atenei italiano. In particolare, le esistenti disparità che ci sono tra le diverse macroaree del Paese, tra le accademie del settentrione e quelle del meridione. È quanto rileva una ricerca di Federconsumatori, secondo cui è quanto mai urgente trovare una soluzione alla questione dei servizi abitativi, di trasporto e contrastare l’emigrazione degli studenti del Sud. In quattro anni (dal 2018) i costi universitari, considerata la tassazione massima (non interessata dalle agevolazioni), sono cresciuti del 6,82%.
Nel frattempo, sono aumentati anche gli strumenti che favoriscono la frequentazione dell’accademia da parte degli studenti. In particolare, si parla del prestito d’onore, che presenta modalità di accesso e rimborso molto più accomodanti rispetto ad altri tipi di prestito: per esempio non vengono applicati i tassi d’interesse e il periodo di ammortamento può arrivare addirittura a 15 anni.
L’Università di Pavia è la più cara
Nel report, che suddivide l’Italia in tre macroaeree geografiche, gli atenei settentrionali rimangono (come nella ricerca del 2018) i più cari: i costi superano del +27,4% quelli delle università del Sud e del +18,2% quelli degli atenei del Centro. Si conferma inoltre il primato di ateneo più caro dell’Università di Pavia, che prevede imposte massime medie di 3.902 euro annui (3.663 euro per le facoltà umanistiche e 4.141 euro per i corsi di laurea dell’area scientifica). Seguono nell’ordine l’Università di Milano (3.206 euro per le facoltà umanistiche e 4.060 euro per quelle scientifiche) e La Sapienza di Roma (2.977 euro e 3.080 euro rispettivamente per le facoltà umanistiche e scientifiche).
Più oneroso l’indirizzo scientifico
La tassazione diversificata spesso non favorisce lo studente che sceglie l’indirizzo scientifico. Come rileva la ricerca, nelle Università in cui viene adottata questa distinzione la scelta di una facoltà scientifica è economicamente meno conveniente: ad esempio, uno studente della Facoltà di Matematica, paga in media tra 0,48% e 5,27% in più rispetto al collega di Lettere/Filosofia, a seconda della fascia di reddito di appartenenza. Rispetto agli importi massimi, studiare al Centro o al Sud implica pagamenti meno onerosi: gli studenti degli atenei meridionali pagano in media fino al 21,53% in meno rispetto ai colleghi del Nord, mentre quelli del Centro Italia risparmiano mediamente fino al 15,38%.
Agevolazioni ‘plus’ degli atenei per catturare gli studenti
La tassa universitaria si calcola sul reddito familiare dello studente. Federconsumatori, che ha preso 5 fasce, ricorda che a causa del Covid già dal 2020 la c.d. ‘no tax area’ (introdotta nel 2017 e destinata agli studenti con ISEE inferiore a 13mila euro) è stata estesa alle famiglie con ISEE fino a 20mila euro e che molti atenei ne hanno disposto un ulteriore ampliamento, come nel caso dell’Università di Salerno (a 30mila euro). Gli studenti con tali requisiti (per gli anni successivi al primo c’è anche un numero minimo di crediti formativi) devono pagare solo la tassa regionale e l’imposta di bollo e non sono tenuti a corrispondere le tasse universitarie, cui sono invece soggetti tutti gli altri iscritti.
La ‘no tax area’ allargata ha stravolto le comparazioni
Le agevolazioni legate all’ISEE hanno segnato una fondamentale svolta nel sistema di tassazione, ma rendono difficile comparare l’ultima indagine con quella del 2018. Dal confronto delle tasse di allora si riscontrano percentuali di diminuzione che arrivano addirittura a -76% per la fascia di ISEE di 20.000 euro, proprio in conseguenza dell’estensione della ‘no tax area’. Diametralmente opposta invece la tendenza rilevata per gli importi massimi, che risultano aumentati del 6,82%. Se, invece, si comparano l’attuale indagine con i dati del 2020, si riscontra che la media nazionale 2021 per le prime due fasce di reddito è di 153,93 euro (+1,38%), per la terza di 154,64 euro (+1,87%), per la quarta c’è un calo dell’1,09% e per la tassazione massima un rialzo del 3,25%.
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