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Smartworking a rischio con il caro-bollette
Il caro-energia ha un impatto tutt’altro che secondario nel momento in cui si decide di svolgere la propria attività lavorativa da casa. Così, tanti lavoratori, a fronte dei costi crescenti delle utenze domestiche, si chiedono se non sia il caso di tornare in ufficio.

C’è un ostacolo inatteso sulla strada che dovrebbe portare ad un’adozione generalizzata dello smartworking. Proprio ora che molte aziende iniziano a mostrare una certa apertura verso la possibilità di concedere il lavoro a distanza in maniera strutturale per alcuni giorni a settimana, potrebbero essere i lavoratori a sollevare eccezioni.
In particolare, a preoccupare è la situazione del caro-energia, che ha un impatto tutt’altro che secondario nel momento in cui si decide di svolgere la propria attività lavorativa da casa.
I costi da considerare
Secondo un sondaggio condotto dalll’Inapp (Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche), solo il 20% dei dipendenti è disposto a guadagnare meno pur di lavorare in smart working e il riferimento non è a eventuali decurtazioni degli stipendi (per altro impossibili a fronte di un ccnl), ma si riferisce all’incasso netto.
Quanto cioè il lavoratore riesce a tenere in tasca dopo aver onorato tutte le incombenze. Lavorare da casa significa infatti aumentare sensibilmente il costo dei consumi energetici, tra dispositivi tecnologici, illuminazione e utilizzo più intenso del bagno e degli elettrodomestici. Costi che rischiano di annullare i risparmi derivati dal lavoro agile, che uno studio condotto dal Codacons ha quantificato per le tasche dei lavoratori tra i 2.845 euro e i 5.115 euro all’anno, ai quali aggiungere il venir meno dello stress legato agli spostamenti casa-lavoro.
La richiesta di compensazioni
Nella pubblica amministrazione i sindacati chiedono compensazioni per dare il via libera allo smartworking generalizzato, anche se al momento non sembrano esservi particolari aperture su questo fronte. Una questione che si aggiunge a quella già da tempo sollevata dai rappresentanti dei lavoratori pubblici, vale a dire la conferma dei buoni pasto, uno dei benefit più apprezzati dai lavoratori, anche se si lavora fuori dall’ufficio.
Nei Piani integrati di attività e organizzazione di alcuni ministeri, infatti, l’erogazione dei buoni pasto non è prevista per il lavoratore agile e questo è l’orientamento prevalente anche presso gli enti locali. Più difficile conoscere le tendenze dominanti nel privato, data la diversità di situazioni, anche se tendenzialmente si registra una maggiore apertura verso i lavoratori da remoto. Anche nella consapevolezza che questa scelta riduce i costi di gestione degli uffici aziendali.
Sta di fatto che, se perdurerà il caro-energia sarà difficile trovare una conferma all’ultimo report dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, secondo il quale l’86% di chi ha sperimentato il lavoro a distanza vorrebbe proseguire su questa strada.
Cambio di rotta nel pubblico
Intanto, proprio il caro-energia sta spingendo la pubblica amministrazione a cambiare rotta rispetto al ritorno in presenza predicato dall’estate in avanti. Il Comune di Milano ha preso una decisione che presto potrebbe essere imitata da altri: tutti a casa un giorno a settimana per fare risparmiare l’amministrazione. Senza questo intervento, ha spiegato il sindaco Giuseppe Sala, l’obiettivo di risparmiare 60 milioni di euro in un anno (che passa anche attraverso una serie di altre misure di efficientamento dei consumi) sarebbe impossibile. I dipendenti meneghini resteranno a casa preferibilmente il venerdì, con benefici anche in termini di traffico e di inquinamento, e gli unici esclusi dal beneficio saranno gli addetti al fronte office con i cittadini.
Lo smart working per tagliare i consumi di gas ed elettricità negli edifici pubblici è seguita anche dalla Regione Lazio, che abbina questa misura alla riduzione dell’illuminazione in diversi suoi uffici, con la chiusura anticipata di alcune strutture e dei settori che non hanno contatti con il pubblico.
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