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Cura Italia e Liquidità: da Pmi adesioni per 41 miliardi

Pubblicato il 30/06/2020
Cura Italia e Liquidità: da Pmi adesioni per 41 miliardi

In poco più di tre mesi, esattamente dal 17 marzo fino al 25 giugno scorso, le domande pervenute al Fondo di garanzia del Ministero dell’Economia e delle Finanze, così come previsto dai decreti ‘Cura Italia’ e ‘Liquidità’, sono state 715.776, per un importo complessivo di finanziamenti richiesti dalle imprese pari a 41 miliardi di euro. Lo ha indicato l’Ufficio studi CGIA che, pur rilevando che le cifre appaiono “estremamente significative”, ha analizzato il fenomeno “attraverso il calcolo dell’incidenza delle domande di finanziamento presentate al Fondo sui potenziali beneficiari di queste misure”.

CGIA, ma ben l’87% non ha presentato domande

Ne consegue, sottolineano gli esperti, che “se teniamo conto che i possibili fruitori di questi due provvedimenti ammontano a poco più di 5.460.000 unità, significa che a seguito delle oltre 715.700 domande presentate in questi 3 mesi, solo il 13 per cento del totale degli imprenditori e dei liberi professionisti italiani è ricorso a questi aiuti economici. Pertanto, l’87 per cento non l’ha fatto”. In altre parole, secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi CGIA, “quasi 9 Pmi su 10 non hanno chiesto alcun prestito. Sia chiaro che, se i numeri sono così contenuti, la responsabilità non è delle banche e nemmeno del Fondo di garanzia, ma è riconducibile al fatto che lo strumento ha suscitato pochissimo interesse”. Anche se, aggiunge, “certo, qualche istituto di credito non è stato particolarmente solerte nella formulazione delle istruttorie”.

Non c’è intenzione di indebitarsi ulteriormente

Secondo Zabeo, comunque, c’è un altro fattore che ha frenato il ricorso ai fondi da parte degli imprenditori. Con un passivo bancario in capo a ciascuna piccola impresa, che in Italia ammonta mediamente a circa 100 mila euro, “la quasi totalità di queste realtà produttive non ha ritenuto conveniente indebitarsi ulteriormente per risolvere i propri problemi di liquidità. Segnaliamo, invece, che avrebbero bisogno di contributi a fondo perduto che fino ad ora sono stati erogati in misura del tutto insufficiente”.

Se non troveranno liquidità molte imprese chiuderanno

In un momento di grave crisi economica come questo, spiega in sintonia Renato Mason, segretario CGIA, “non è il caso di fare polemiche, tanto meno di accusare chicchessia di inefficienza o scarsa sensibilità nei confronti delle nostre Pmi. Tuttavia, è necessario consentire alle aziende di ottenere la liquidità con più facilità, mettendo gli istituti di credito nelle condizioni di farlo”. A parità di costi, o quasi, ma con fatturati in caduta libera, “se nei prossimi due o tre mesi le piccole aziende non avranno a disposizione la liquidità necessaria per far fronte alle esigenze di ogni giorno, in autunno – prevede Mason - molte di queste non avranno la forza di rimanere aperte, con effetti occupazionali molto preoccupanti”. Da segnalare che in Italia, nelle realtà produttive con meno di 50 lavoratori, sono occupati quasi due terzi degli addetti del settore privato.

Il Paese potrebbe avvitarsi verso la deflazione

Secondo l’analisi della CGIA, senza liquidità il Paese potrebbe scivolare pericolosamente verso la deflazione. È un rischio che ha già fatto capolino nel mese di maggio, quando l’indice dei prezzi al consumo è stato del -0,2% sia su base annua sia mensile. La deflazione, ricordiamo, si manifesta con un progressivo calo dei prezzi dei beni e dei servizi. A un primo acchito la cosa parrebbe positiva: se i prezzi scendono, i consumatori ci guadagnano. In realtà le cose stanno diversamente: nonostante i prezzi scendano, le famiglie non acquistano poiché, a causa delle minori disponibilità economiche e delle aspettative negative, quel poco che viene venduto comporta, per i dettaglianti, margini di guadagno sempre più risicati.

Correre ai ripari perché i decreti sono stati un insuccesso

Avendo sperimentato che i prestiti bancari previsti dal ‘Cura Italia’ e dal decreto ‘Liquidità’ non hanno dato i frutti sperati, “riteniamo – secondo l’analisti CGIA - sia necessario rafforzare l’erogazione degli indennizzi diretti alle imprese che sono state ‘piegate’ dal COVID, almeno fino alla fine di settembre”. Intanto lo studio ha rilevato che, a livello territoriale, le Marche (con il 17,8%), hanno registrato la più alta incidenza di domande a livello nazionale di prestito bancario presentate con l’ausilio del Fondo di garanzia sul numero di Pmi e di lavoratori autonomi ubicati in regione. Seguono Emilia Romagna (16,4%), Toscana (16,2%) e Umbria (14,8%). Bassa l’adesione riscontrata nel Mezzogiorno: Calabria (11,1%), Sicilia (11%), Molise (10,9%), Sardegna (10,5%) e Campania (10%), mentre fanalino di coda a livello nazionale è il Trentino alto Adige (5,1%).

A cura di: Fernando Mancini

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