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Stop alle auto tradizionali: a che punto siamo?

La strada è ormai tracciata, ma la velocità ancora no. Perché, accanto alle sacrosante valutazioni di carattere ambientale, entrano in gioco anche questioni socio-economiche, a cominciare dal futuro della filiera automotive, che in Italia occupa centinaia di migliaia di persone.

Pubblicato il 09/03/2023
icona auto elettrica su sfondo blu
Stop alle auto tradizionali dal 2035

Il cambio di rotta è inevitabile, ma probabilmente sarà meno radicale di quanto prospettato finora. Complici le pressioni dell’Italia, per il momento a livello europeo si è deciso di sospendere lo stop alle auto con carburanti tradizionali previsto dal 2035. Vediamo cosa attendersi da qui in avanti.

La decisione

Cominciamo con il dire che i veicoli a motori sono da tempo nel mirino delle autorità comunitarie nell’ambito dello sforzo di abbattere in maniera considerevole le emissioni ambientali e fare dell’Ue la prima area al mondo a impatto zero entro il 2050. L’inquinamento delle auto è determinato essenzialmente dai gas di scarico generati dalla circolazione, soprattutto a causa della presenza di polveri sottili emesse dalla marmitta. Inoltre, questo contribuisce all’effetto serra, dato che impedisce al calore di disperdersi.

Così, a partire dall’inizio degli anni Novanta l’Ue usa una classificazione per i veicoli a motore, che sono stati classificati in base al loro impatto inquinante, con la voce “Euro” seguita da un numero.

Questa classificazione viene usata da molti centri urbani per definire limitazioni al traffico nei centri cittadini (è il caso di “Area C”), con queste ultime che si sono rivelate utili, ma non sufficienti a combattere l’inquinamento generato dai veicoli a motori.

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L’ultima decisione

Da qui la pressione comunitaria che ha portato a ipotizzare uno stop alla vendita di auto nuove diesel e benzina a partire dal 2035. Quando l’esito appariva inevitabile, vi è stato tuttavia un colpo a sorpresa, con la riunione del Coreper (il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue) che ha deciso di rimandare il voto a fronte di alcune opposizioni, in primis da Italia e Polonia, con l’astensione di Germania e Bulgaria. Il Parlamento europeo aveva già dato la sua approvazione finale a metà febbraio, ma il fronte dei governi nazionali oggi renderebbe impossibile raggiungere la maggioranza qualificata richiesta, vale a dire il 55% dei Paesi in rappresentanza del 65% della popolazione residente nell’Ue.

Gli schieramenti in campo

Gli oppositori non contestano la necessità di combattere le emissioni inquinanti, ma chiedono “che ci sia una riflessione sulla base di dati concreti che sono sotto gli occhi di tutti e che hanno portato le associazioni di imprese europee e i lavoratori europei a chiedere un cambio di passo alla Commissione”. Il riferimento è da una parte alle emissioni legate allo smaltimento delle auto elettriche e dall’altra alla necessità di riconvertire tutta la filiera legata al diesel e alla benzina, pilastro dell’occupazione in Italia.

L'altro elemento di critica rivolta alla strategia europea attuale è la scarsa disponibilità di terre rare e materie prime, indispensabili per la transizione green, ma attualmente custodite nelle mani della Cina. Una questione che ha un rilievo geopolitico di non poco conto alla luce delle crescenti tensioni tra Pechino e Washington.

Sul versante opposto si schiera ovviamente l’associazione dei produttori dell’elettrico, che ricorda come molte case automobilistiche si siano già attrezzate per la transizione. “Con gli investimenti in campo ormai la strada è tracciata e l’Italia non può più perdere tempo in un clima di scontro e incertezza. Chiediamo all’Europa un maxi fondo comune per trasformare il settore come stanno facendo negli Usa”, si legge in una nota di Motus-E. Che poi sottolinea l’importanza di incentivi pubblici per favorire la transizione verso l’elettrico.

A cura di: Luigi dell'Olio

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