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La riforma per cancellare i debiti, tra opportunità e rischi
L'intento è nobile, ma il rischio di un buco nell'acqua è elevato. La riforma degli NPL, che punta a favorire il riscatto delle posizioni da parte dei debitori persone fisiche e piccole o medie imprese, si sta mostrando di difficile applicazione rispetto alle previsioni.

L’obiettivo è nobile, ma la messa in atto rischia di rivelarsi tortuosa e con esiti opposti rispetto alle previsioni. Nelle scorse settimane hanno cominciato a diffondersi dei rumors in merito a una possibile riforma dei crediti deteriorati che consenta alle famiglie in difficoltà di tornare in bonis. Proviamo a capire a che punto è il progetto di riforma e in che modo potrebbe incidere sui bisogni di chi si è trovato in difficoltà nella restituzione dei finanziamenti ricevuti.
Basterà il 20% in più per riscattare la posizione
La premessa è che in Italia ci sono non performing loans, cioè prestiti divenuti di difficile esigibilità (a causa delle condizioni dei debitori), per 350 miliardi di euro, un livello che non ha pari nel resto d’Europa, anche se è sceso sensibilmente nell’ultimo decennio. Si tratta di una quantità destinata a crescere ulteriormente a fronte della debole congiuntura che stiamo attraversando, dato che ad esempio molte famiglie faticano a reggere i rialzi delle rate relative al mutuo a tasso variabile.
L’esecutivo appare intenzionato a mettere in campo una misura che consenta alle famiglie e alle piccole-medie imprese di sanare la propria posizione in modo da poter tornare a richiedere finanziamenti in caso di necessità. Lo schema ipotizzato consente ai debitori morosi (classificati come tali tra il 2018 e il 2021) di ricomprare il loro stesso debito al prezzo con cui la banca l’ha venduto (cioè a forte sconto), maggiorato del 20%. In questo modo i debitori – la possibilità di riscatto dovrebbe essere limitata a importi per qualche milione di euro – otterrebbero la cancellazione del proprio nome dalla Centrale rischi Bankitalia che segnala le inadempienze. La norma potrebbe obbligare i fondi a comunicare l’acquisizione del credito al debitore, mentre sui crediti già ceduti il fondo potrebbe dover notificare allo stesso il contratto d’acquisto per avviare l’azione esecutiva ed escutere il bene.
Le criticità della riforma
Tuttavia è tutt’altro che facile condurre in porto una riforma di questo tipo. Al di là delle ovvie resistenze da parte dei soggetti colpiti, la misura avrebbe effetti retroattivi che andrebbero a compromettere la certezza del diritto. Il risultato, afferma un’analisi condotta dall’Unirec, associazione delle società di tutela del credito, è che si andrebbe a penalizzare il mercato del credito deteriorato, finora in grado di autoregolarsi, smaltendo i livelli eccessivi raggiunti intorno al 2008-2010.
Altre riserve sono state sollevate in merito al mancato rispetto di principi costituzionali come la libertà di iniziativa economica, e comunitari, relativamente alla libera circolazione dei capitali in Europa.
Mentre l’agenzia Scope Ratings ha avvertito: “Per la natura retroattiva della proposta, l’appetito per i crediti deteriorati italiani potrebbe cadere”. In sostanza, nessun operatore avrebbe interesse a investire negli NPL, se poi rischia che gli stessi vengano riscattati dai debitori prima di un’adeguata valorizzazione. Inoltre, alcuni analisti fanno notare che, così com’è scritta, la misura rischia di discriminare tra debitori morosi, dato che il testo pone una stringente limitazione temporale: i debitori hanno solo 30 giorni dopo la notifica per esercitare il diritto di riacquistare il debito, e solo 90 giorni per pagare.
Le parti in gioco
Al di là della scontata azione di lobbying, gli operatori di settore sono scesi in campo per rivedere lo schema di riforma, alla luce di una serie di valutazioni. In primo luogo si contesta la facilità di generare extraprofitti, dato che il mercato è formato da operatori professionali altamente specializzati, tutti con grandi competenze. In secondo luogo, se è vero che l’acquisizione dei crediti deteriorati avviene a forte sconto rispetto al valore nominale, è pur vero che occorre considerare il rischio d’impresa, cioè la possibilità che il credito in questione non venga mai recuperato, nemmeno in parte. Soprattutto in un contesto come quello italiano, caratterizzato da limiti evidenti nel funzionamento della giustizia.
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