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Fed: costo del denaro in aumento. Cosa cambia nel 2015?

Pubblicato il 31/10/2014
Fed: costo del denaro in aumento. Cosa cambia nel 2015?

Il costo del denaro aumenterà, secondo le previsioni della Fed, tra la metà e la fine del 2015. Merito della situazione economica americana, che evidenzia qualche timido ma incoraggiante segnale di ripresa: a settembre, per la prima volta dal 2008, il tasso di disoccupazione USA è calato sotto il 6%.

Negli Stati Uniti sono stati creati 248.000 posti di lavoro, oltre 30.000 in più rispetto alle previsioni degli analisti. Il dato è determinante per le manovre della FED, che si basa sull’andamento del mercato dell’occupazione per definire le azioni di politica monetaria.

Al momento, tuttavia, si è deciso di mantenere i tassi di interesse in un range tra lo 0 e lo 0,25%, percentuali non distanti dal minimo storico del dicembre 2008. Dal sondaggio condotto periodicamente tra i membri del Fomc, la sezione operativa di politica monetaria della Fed, si evidenzia tuttavia che il tasso di interesse medio auspicabile per il 2015 sarà dell'1,375% (il 2,875% nel 2016). 

L’aumento del costo del denaro sarà strettamente vincolato ai dati sull’inflazione statunitense, ad oggi ben al di sopra di quel 2% obiettivo della Fed. Si ipotizza che nel 2015 il Pil crescerà del 2,6-3,0%, una previsione al ribasso rispetto al +3,0-3,2% stimato in giugno. 

Secondo il Presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, non ci saranno azioni concrete fino alla primavera inoltrata del prossimo anno, dopodichè si ipotizza un intervento volto ad aumentare il costo del denaro e, di conseguenza, i tassi di interesse. Ma che cosa comporterà per i consumatori, anche quelli europei, la scelta della Fed?

La decisione della Federal Reserve significa fondamentalmente che l'economia riesce, indipendentemente dalle manovre di politica monetaria ad avere nuovi impulsi. Tradotto in termini finanziari, le banche affrontano nuove sfide di  mercato. 

Se si verificasse l’auspicato aumento del costo del denaro, dovrebbero teoricamente crescere anche le domande di prestiti, personali ed aziendali, creando una situazione di impulso al sistema economico ed un fisiologico aumento dei tassi di interesse.

In merito allo scenario di lungo termine, il tasso atteso di inflazione nei prossimi dieci anni sembra essere di circa 2%. Il dato rilevante è che, chiusura del 2013, le aspettative inflazionistiche degli investitori che, erano al di sopra del 2,30%, sono state almeno in parte disattese. 

Buone le previsioni anche per il mercato mutui: l’attuale calo dei rendimenti dei titoli del Tesoro Usa potrebbe costituire un ulteriore stimolo all’espansione del mercato dei mutui e all’estensione dei prestiti immobiliari, anche subprime. Al momento, il tasso di interesse medio applicato sui mutui statunitensi a trent’anni si mantiene sotto quota 4%, cosa mai successa dalla fine di maggio del 2013. 

Un elemento propulsore, che si abbina alla ripresa del mercato delle costruzioni. Le decisioni prudenziali intraprese fino a settembre hanno mantenuto i mercati europei stabili o al rialzo. Situazione che potrebbe cambiare se la banca centrale statunitense, che ad oggi confermato l'impegno di mantenere per i prossimi mesi i tassi vicino allo zero, decidesse un’inversione di rotta più veloce del previsto, con appunto un aumento del costo del denaro.

Sicuramento se nel prossimo biennio il dollaro si apprezzasse nuovamente rispetto all’euro, potrebbero esserci ripercussioni positive, anche in termini di recupero di competitività per l’economia del Vecchio Continente.

A cura di: Alessia De Falco

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